A denunciare questa piaga è stato l’imprenditore pugliese Pasquale Natuzzi, fondatore del gruppo Natuzzi, azienda leader nel campo del mobile imbottito, un settore che, come tutto quello che concerne l’arredamento, stà vivendo una profonda crisi da diversi anni.
La domanda da porsi è: come fanno le aziende cinesi a permettersi prezzi così bassi? Le forze dell’ordine, dopo una lunga indagine, hanno scoperto che molte di queste aziende usano contratti che sulla carta risultano essere par-time, ma che in realtà sono full-time (senza contare gli straordinari, specie in determinati periodi dell’anno dove la richiesta aumenta). Inoltre sfruttano il lavoro dei connazionali clandestini, segregati nei capannoni, evadono le tasse e il costo e la qualità della materia prima non è certo di alta qualità.
La prassi per “evadere” i controlli delle forze dell’ordine è diventata quella di pagare le sanzioni pecuniarie (con i soldi ricavati dal lavoro nero) e fondare nuove società.
La maggior parte delle principali marche nel settore della produzione di divani utilizza, ormai da tempo, il lavoro di terzisti (quasi sempre cinesi), per avere un aumento dei margini di profitto, senza però preoccuparsi minimamente delle condizioni di lavoro e dei salari di questi lavoratori cinesi. Le stesse aziende, per giustificare una diminuzione dei prezzi di vendita, affermano che il loro successo è principalmente dovuto ad una diversa commercializzazione e ad una intensa campagna pubblicitaria.
Il tutto si traduce in un danno ingente non solo per le piccole aziende artigianali che non riescono più ad essere competitive sul mercato (abbassare i prezzi per portarli allo stesso livello di quelli proposti dalle aziende cinesi vorrebbe dire chiudere), perdono così commesse sia in Italia che all’estero; per non parlare poi del danno arrecato al consumatore, che pensa di comprare un divano Made in Italy, senza però ricevere la garanzia di qualità che ci si aspetterebbe.
Natuzzi è un sostenitore del Made in Italy (quello vero), del rispetto delle regole e della legalità. La sua azienda realizza tutti i suoi prodotti all’interno delle sue fabbriche; conta circa 3200 dipendenti regolari in Italia e altre fabbriche sparse nel mondo con artigiani qualificati e certificati e tutto questo non può non incidere sul prezzo del prodotto finale. La sua battaglia contro la finta pelle, definita impropriamente ecopelle e contro i terzisti irregolari mette in evidenza l’impatto negativo che questi problemi hanno scatenato sulla società e sull’economia del nostro paese. Oltre al periodo di crisi che l’Italia e l’Europa stanno affrontando, sarebbe forse ora di porre un limite e un freno alla concorrenza illegale? Cosa ne pensate?
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